Nascere al proprio angelo.
3ème Millénaire n. 83 – Traduzione della dr.ssa Luciana
Scalabrini
Non avevo una particolare affinità con la nozione d’angelo e
la lettura di quel favoloso libro che è “Dialogo con l’angelo” mi aveva un po’
dirottato per la connotazione troppo religiosa, ma anche, devo riconoscerlo,
perché sfuggiva davanti ad ogni tentativo d’intelligenza da parte mia. E poi
mio marito e io stessa abbiamo incontrato Gitta Mallasz, con la quale andammo a
vivere qualche anno più tardi, e tutta la nostra esistenza cambiò di colpo.
Perché è uno shock incontrare improvvisamente qualcuno che ha messo in pratica
i “Dialoghi con l’angelo” nella sua vita quotidiana! E’ uno shock vedere da
vicino, gli occhi negli occhi, una rappresentante della specie umana impregnata
di tutta una vita di dialoghi coscienti. Ed è un terremoto sentirsi dire in
modo più naturale del mondo in un discorso diretto: “E tu, quand’è che dialoghi
con il tuo angelo? Lui ti aspetta!”.
Io? Quella esperienza era possibile per me?…
Dio mio, come nascere al proprio angelo richiede il credere
che ne abbiamo uno!
E, anche quando gli si crede, non si dialoga con il proprio
angelo di punto in bianco semplicemente perché un bel giorno lo si decide.
Dialogare con l’angelo è una funzione, una autentica
funzione biologica, una nuova funzione per tutta l’esperienza umana, una vera
conquista del mondo interiore, così complessa come lo è stata la conquista del
mondo esterno da sei milioni di anni che l’uomo esiste sulla terra.
La funzione dialogo con l’angelo, è molto semplicemente la
maniera cristiana d’aver accesso alla Coscienza, quella stessa coscienza che
tutte le tradizioni cercano, ognuna a suo modo.
Ed è quello che abbiamo scoperto con Gitta! Ma ci vogliono
anni per fare la differenza tra il piccolo dialogo che ha luogo con il basso di
noi stessi, quel dialogo che si fa nostro malgrado, e il grande dialogo con la
cima di noi stessi che è un’esperienza spirituale da conquistare. Occorre una lunga educazione interiore, una
lenta maturazione, per semplicemente ricominciare a sentire il mormorio delle
nostre intuizioni, il brusio della verità senza abbellimenti, di quest’altro
mondo psichico che regna solo nella Coscienza.
“Il dialogo con l’angelo è una via senza via, diceva Gitta;
sapete, l’angelo è dapprima un vecchio messaggero cristiano, una specie d’amore
simbolico proposto all’uomo prima che faccia lui stesso l’esperienza di
incontrarlo. Perché poi, si tratta di una realtà così concreta che l’angelo
diventa molto naturalmente ciò che risponde senza concessioni quando si ha una vera domanda”.
Lei ci fece prima cercare le nostre parole per definire quel
meglio di noi stessi: colui che mi accompagna, il mio consigliere segreto, il
mio pari di luce, chi sa in me, la mia intuizione geniale, la mia ispirazione
creativa, la mia memoria del futuro, la mia intima convinzione immediata senza
alcuna intelligenza, il mio appuntamento segreto con la coscienza, colui che
risponde in Verità e senza concessioni… Che importa il suo nome, quando ci
rende Vivi!
Poi ci insegnò l’arte della domanda, sola porta d’ingresso
per poter dialogare con il nostro angelo. Perché nascere al proprio angelo, è
tutta una strada da percorrere in sé! E allora abbiamo scoperto il mistero
della domanda, quella metà della strada che dovevamo fare in trasparenza per attirare infallibilmente
la risposta in Verità! Dio mio, come già l'esigenza è sovrumana quando si
tratta di trovare solamente la VERA domanda! Dio mio, come siamo stati sovente
maldestri, e perfino fiacchi talvolta,
di fronte a quella esigenza così nuova per noi!
Credo che sia per trasfusione, per comparazione con i suoi
dialoghi sempre di fuoco e sangue che le nostre esperienze sono state obbligate
a prendere temperatura, accrescere un poco per sopportare la sua vicinanza. E
all’inizio abbiamo spesso rischiato l’indigestione…
Ma Gitta ci ha insegnato tutta un’arte di vivere facilitando
quella esperienza centrale, tutto un modo d’essere e di pensare quotidianamente
perché quella avventura interiore sia possibile.
Infatti Angelo e uomo
sono promessi l’uno all’altro dalla notte dei tempi, e un giorno finalmente ci
crediamo! Un giorno abbiamo il coraggio di una prima vera domanda che attira
una prima vera risposta. Ed ecco, siamo nati! E il cielo esulta!
Perché, se nasciamo all’angelo con la nostra prima domanda,
anche lui nasce per noi con la sua prima risposta.
Da semplici promessi, eccoci diventati amanti. Ci vorrà del
tempo ancora, perché un giorno diventiamo sposi, mantenendo insieme un Compito.
Solo allora, diventando obbligatorio, quel legame si farà sempre più naturale.
Perché è veramente per sé, per la sua importanza, che si può
suscitare quel genere di dialogo in Verità? Detto in altre parole, si può
davvero incontrare il proprio angelo, finchè lo di domanda solo da sé? Oppure
quell’incontro è facilitato dal fatto che lo si interroghi per servire una
causa e per aiutare gli altri? Non è un vero allontanarsi dall’angelo di cui si tratta quando s’immagina che quel
parente di luce serva soltanto a fare brillare se stessi? È davvero programmato
per quell’effetto? Quell’accoppiamento reale tra la materia e la luce, non è
piuttosto previsto per una Causa da difendere, per servire mille uomini in un
Impegno, invece di servire solo la nostra piccola persona? Così, finchè non
siamo liberi dalla nostra propria importanza, può essere che ci siano delle priorità d’interesse che
ingarbugliano l’ascolto celeste. Quale pedagogia divina: finchè l’angelo non è
vitale, può non importare! Ma quando improvvisamente un Impegno ci obbliga a
consacrare la nostra vita a un Servizio, allora l’angelo diventa obbligatorio,
allora la funzione dialogo diventa un riflesso di sopravvivenza, allora la
coscienza ispirata è ormai il solo modo di esistere. E la cosa è strana, perché
dopo le nozze intime, imposte dall’Impegno, sembra che non si domandi più di
fuori, ma di dentro, come se l’angelo fosse diventato una parte sposata di noi
stessi: la nostra metà!
Gitta era meravigliata vedendo quanto l’angelo, secondo la
nostra specificità, rispondeva con mezzi differenti a ciascuno, quanto si
adattasse al linguaggio di ciascuno. Ma quanto era altrettanto capitale che gli uomini fossero
maturi per essere buoni traduttori e non imbarcarsi in facili interpretazioni.
Un giorno, avemmo l’idea di fare un repertorio di tutte le
nostre trovate e sciocchezze perché ci servissero. Ed è così che è nato una
specie di abbecedario che ci fece giocare tutti e tre per alcuni mesi. Quali
erano le leggi dell’incontro con l’angelo? Quali lo facilitavano? Quali lo
impedivano? Quali erano le difficoltà? Ecco come è nato “il piccolo manuale del
dialogo con l’angelo”. Gioco terribile, che ci portò molto più lontano del
previsto! Come Gitta ha dovuto divertirsi davanti allo spettacolo della nostra
affascinante ingenuità! Perché a ogni nuova legge che sperimentavamo con molta
fierezza, ci era dato di vivere la “controlegge” dal giorno dopo.
Gitta non ci ha insegnato tecniche di dialogo propriamente
dette, ci ha insegnato a ripetere quel viaggio a volontà. E’ riuscita a fare di
ciascuno dei nostri infortuni un punto di partenza per una nuova avventura con
i nostri angeli. Ha fatto di noi dei globe – trotter terra – cielo, pronti a
imbarcarsi in ogni sofferenza che ci abbattesse.
E ci ha soprattutto insegnato la condizione prima che rende
possibile ogni viaggio: saper giocare con le nostre imperfezioni.
"Finitela di voler essere dei piccoli perfetti concentrati! Il vostro
angelo s’annoia con voi, figli miei! ”, ci lanciava continuamente.
Si, ma ecco, quella condizione prima ad ogni dialogo,
accettarsi imperfetti, è già una montagna da scalare, un inverosimile ostacolo
da superare. Io non sapevo giocare con le mie imperfezioni, non sapevo
sdrammatizzare i miei problemi.
E tutte le teorie del mondo non servivano a niente contro
quel dito accusatore che puntavo continuamente contro me stessa.
Allora Gitta inventò per noi dei
giochi per alleggerire le nostre rigidità di chi dialoga con troppa
applicazione. Niente grandi spiegazioni “spirituali”, come lei diceva, ma dei
giochi che ci obbligavano a sorridere.
Insegna
loro a giocare, a giocare nuovi giochi.
Preparali
alla creazione! Non più giochi antichi, ma nuovi!
Se il
bambino gioca, si dimentica di se stesso, dimentica il suo me.
Ecco ciò
che il nuovo gioco crea.” (Dialoghi con l’angelo)
Si, con Gitta abbiamo giocato molto! Ancora oggi sono
stupita della semplicità di quei giochi che la sola intelligenza non oserebbe
inventare per paura del ridicolo: il gioco del cucchiaio magico anti–crisi o quello del salvadanaio per giudizi, il gioco
di farmi cantare la mia gelosia su un aria d’opera o ancora di disegnare la
nostra caricatura del giorno… e tutti quegli oggetti anti–melodramma
che non smetteva di improvvisare per far nascere l’humor dalle nostre
bestialità. E così tutti quei soprannomi di cui ci parlava fino a che il nostro
errore del momento non ci faceva sorridere.
“ Si, ve lo dico sul serio, sono profondamente convinta che
il gioco è la via più diretta per arrivare a COLUI che ha inventato il Gioco
della Creazione. Ma lo dico invano… nessuno mi crede… è troppo semplice, o
perfino semplcistico. Oggi, c’è la complicazioni di chi fidarsi. “Però è la
complicazione della vita”, scriveva nella nostra rivista.
All’inizio, lo confesso, la sua forma d’insegnamento ci parve molto sconcertante, perfino pericolosa. Non era veramente serio, tutti quei giochetti! Ci attenevamo tanto a delle risposte ispirate a una grande saggezza, ad esercizi iniziatici di alto valore. E il nostro ego si sentiva sconfitto, con niente altro da mettere sotto i denti che un piccolo gioco infantile. Oggi posso dirlo: il gioco, poiché conduce al superamento dell’ego senza rifiutarlo, è veramente sacro. E’ per me una modalità laica d’evoluzione della coscienza, una modalità laica di contenimento della serietà inutile con l’intensità ludica. E, quando un cammino spirituale diventa capace a quel punto di discendere nell’ordinario della vita, per insegnarci l’essenziale, si crede di sognare accorgendoci che funziona!
Così Gitta ci ha smaliziato, portato passo dopo passo
nell’esperienza, senza che ci fosse mai la minima traccia di soprannaturale,
senza mai la minima posa esagerata nel tono, senza la minima inutile
esaltazione.
Ci incitò alla coscienza con tutti i mezzi; inventò decine e
decine di forme di dialogo differenti, proprio per rispondere alle difficoltà
del momento che attraversavamo; il dialogo delle dieci domande ricondotte a una
sola senza attesa di risposta, il dialogo per iscritto, il dialogo con arresto
alla prima immagine psichica che appare, il dialogo alla terza persona
singolare, il dialogo sul nostro passato per chiarire il nostro presente, ecc.
Quelle molteplici forme di dialogo ci portavano sempre più lontano obbligandoci
a innovare ancora e ancora. Dialogare oralmente, immobili o camminando.
Dialogare cercando accuratamente una domanda scottante o ancora lasciandosi
sorprendere all'improvviso da una intuizione ispirata. Dialogare con risposte
che possono giungere sia dal di dentro
con immagini, sentimenti, simboli, sia dal di fuori con dei sincronismi della
vita ordinaria. Ci mostrò che TUTTO era possibile, ammesso che si avesse
davvero bisogno della risposta per il seguito della nostra vita e non per
semplice curiosità per passare il tempo.
Tutto questo ci obbligò a prendere ancor più impegno
sull’esperienza del dialogo interiore… Divenne necessario stabilire una
pedagogia, fondare chiaramente le modalità di quella funzione, codificare
l’avventura con una maggiore precisione perché l’esperienza fosse rinnovabile a
volontà. Così abbiamo potuto identificare quattro grandi fasi che si ripetono
in ogni dialogo, che abbiamo chiamato QSRA. Cioè la necessità di una vera
Domanda (Question), la necessità di fare un vero Silenzio, la necessità di
saper tradurre la Risposta in verità, e infine la necessità di praticare l’Atto
indicato per ristabilire la situazione dolorosa. Allora Domanda, Silenzio,
Risposta e Atto diventano i quattro tempi di un valzer interiore dei nostri
dialoghi. Dio mio, come era piaciuta a Gitta quell’idea di un valzer intimo
della materia e della luce!
Nella prima fase di QSRA, Gitta ci insegnò velocemente il
preliminare ad ogni dialogo che consiste nello scaldare la domanda,
riformulandola continuamente, fino a che non ci tocchi con parole trasparenti
di sincerità ultima. Secondo lei, le domande intelligenti non potevano
interpellare che il cervello, mentre certe domande potevano ottenere una
comunicazione di un altro tipo, proprio con l’angelo.
E’ al
sommo delle tue domande
Che
troverai la risposta.
Io sono là.
Non
posso parlarti che di là.
Nella seconda fase, sapere fare silenzio, come per
addomesticare la nostra piccola condizione umana così emotiva, ci si prepara ad
una neutralità reale di fronte a del fuoco senza concessione.
Allora arriva la terza fase con la risposta che sorge in
immagini, in percezioni diverse, in sentimenti precisi, in intuizioni
folgoranti, ma raramente in parole. E occorre del tempo per renderci conto che
siamo traduttori, buoni o cattivi ed è lì tutta la difficoltà di questa tappa.
Si, la messa in moto delle risposte dipende unicamente
dall’uomo. Perché quell’altra dimensione di noi stessi parla un tutt’altro
linguaggio, una lingua in Verità, carica di senso. Improvvisamente, con la
risposta che sorge, ci si ritrova davanti ai limiti del linguaggio umano,
troppo lento, troppo povero in quantità d’informazioni per contenere il
messaggio dell’angelo.
E infine ogni dialogo termina con la quarta fase: l’esigenza
di un atto cosciente riparatore. E’ un aspetto dell’insegnamento di Gitta che
non avevamo compreso all’inizio: un dialogo deve sempre portare a degli Atti
concreti che tendono a riparare il dolore di altri o di se stessi, che tendono
anche a colmare le nostre mancanze o a rettificare i nostri errori.
E’ anche lo scopo di questa esperienza magnifica; coi nostri
dialoghi passare dall’uomo a reazione meccanica all’Uomo d’azione cosciente. E
questo, bisogna ruminarlo per un certo tempo per accorgersi di tutta la
sottigliezza!
Ma già, i dialoghi con l’angelo dicevano: “Non c’è Atto
senza fede, non c’è fede senza Atto.”
Oggi, rivisitando tutti quei giochi, tutte quelle forme di
dialogo, tutta quella strada, vedo come quello mi ha preparato a sopportare il
fuoco del mio angelo. Credo che tutte le scuole spirituali, i maestri di
tutte le tradizioni, non siano che preparazione per sopportare il fuoco
di quell’amore materia–luce. Quanto tempo mi ci è voluto per amare il calore
incandescente di quello sguardo calato su di me! Mi sono così spesso sottratta
al suo abbraccio! Ora, come può un amante ritornare se il suo amato lo teme o
se ha sempre mille cose da fare più importanti che un momento con lui?
Grazie, Gitta, di averci accompagnato in quella funzione
“naturale”, come tu dicevi nel tuo delizioso accento! Ci hai fatto capire che
potevamo raggiungere a nostra volontà il meglio di noi stessi, ogni volta che
ne avevamo bisogno. Ma soprattutto ci lasci in eredità una vera via d’accesso
alla coscienza. Possano altri nascere al loro angelo, perché nasca una nuova
primavera dell’umanità!